Lauro, terra di mezzo…
Arriviamo a Lauro in una calda mattina di fine marzo. Ci siamo lasciati alle spalle il traffico di Nola da poco quando notiamo che il paesaggio intorno a noi comincia gradualmente a cambiare. San Paolo Bel Sito, Liveri, Marzano… Ed è come se insieme al contesto cambiasse la percezione del tempo in questo luogo che qualcuno ha definito “terra di mezzo”, per via della posizione geografica che lo colloca tra le province di Napoli e Avellino, a un tiro di schioppo dal salernitano. “Una terra di mezzo che non vuole essere tale”, specifica Giampaolo Rubinaccio accogliendoci e preannunciandoci un tour ricco di sorprese.
Rubinaccio è uno dei principali produttori di Nocciolo della regione, è Coordinatore dell’Organismo Interprofessionale Ortofrutta Italia ed è di Quindici, comune contiguo. Ama questo territorio così come ama il suo lavoro, frutto di sacrifici, impegno e passione di varie generazioni. Con orgoglio ci mostra il nocciolo più antico della Campania (foto in alto), 200 anni ben portati, in bella vista tra le centinaia di piante del suo podere a circa mille metri di altitudine. Nocciolo il cui frutto sembra rappresentare bene questa comunità, ne è quasi la metafora: la durezza del guscio, il pericarpo, come la tenacia dei lauretani; il sapore intenso del seme, la ricompensa per gli sforzi compiuti in secoli di storia. Storia dalla quale sono venuti fuori anche personaggi di primissimo piano, come Umberto Nobile e Francesco Venezia.
Don Giovanni Santaniello
Quando il nostro amico e accompagnatore aggiunge Giovanni Santaniello alla galleria degli illustri, di quegli uomini che hanno fatto la storia di Lauro, in un primo momento non capiamo. Ci arriveremo qualche instante dopo, entrando nella pasticceria Santaniello e ripercorrendo un cammino di cento anni, durante i quali l’arte di fare i dolci è diventata la ragione di vita di una famiglia di commercianti di frutta secca, accuratamente descritta e documentata nelle pagine web della storica pasticceria (pasticceriasantaniello.it).
“Il nostro ambizioso obiettivo, oggi, è quello di unire in un unico orizzonte di gusto il passato e il presente e il futuro”. Nei suoi occhi si legge entusiasmo, nella sua voce passione. Valentino Santaniello è uno degli eredi ai quali oggi è affidata l’attività. Architetto con svariati anni di esperienza a Roma, è tornato a casa convinto di poter riprendere, insieme alla sorella Adelaide le fila di un racconto fatto di primati ed eccellenze. Da architetto ha ridato splendore a quegli arredi progettati dall’architetto Nino Rega nell’86, ha rapidamente ristrutturato il locale dopo un terribile incendio nel 2016 e ha aggiunto lo spazio dei 5 sensi (vedi foto in basso), una sala che lui stesso ha ideato dove la degustazione viene accompagnata da suggestioni cromatiche, profumi di mostaccioli, suoni.
Da vero Santaniello, poi, ha messo mano ai dolci, stilando una particolare suddivisione tra Classicissimi, Classici, Pretesti, Freddi e Gourmet. La ricchezza dell’assortimento non intacca l’aspetto dei prodotti né – scopriremo poi – ne riduce la qualità che, anzi, rievoca la genuinità di sapori antichi modellati dal tempo e da abili maestri pasticcieri. Dalle sfogliatelle alla pasta di mandorle, dalla frutta Martorana ai cioccolattini e poi, ancora, le marmellate artigianali, le cassate e le pignolate. Metri e metri di banco per esporre ogni ben di Dio. Assaggiarli tutti è impossibile anche se la tentazione è forte. Alla fine l’occhio cade su delle coppette. Subito dopo ci cade pure il cucchiaino…
La Coviglia
Quelle coppette così perfette nella forma e nella realizzazione si chiamano coviglie. Quanto spagnolo c’è nel nome e nel disegno di questo dolce! Il professore Nicola De Blasi, Accademico della Crusca e professore ordinario di Linguistica italiana nell’Università di Napoli “Federico II”, nel suo ‘Parole nella storia quotidiana. Studi e note lessicali‘, scrive: “La provenienza iberica di coviglia sembrerebbe un dato del tutto convincente sul piano semantico e fonetico. Per quanto poi riguarda un eventuale cambiamento di genere morfologico da cubillo a a coviglia, c’è da dire che esso si giustificherebbe da un lato per una eventuale influenza della base lessicale cuba, dall’altro per il fatto che coviglia andrebbe a collocarsi all’interno di una serie di iberismi col suffisso -iglia…”. Iberismi che, però, non si trovano da nessun’altra parte. “Sono parole soltanto napoletane”, specifica infatti il professore De Blasi in ‘Profilo linguistico della Campania‘. Parole in uso nella sola città di Napoli e nei suoi dintorni, come lo sono Prussiana, Coviglia, Paccaro. E’ come se sul cibo fosse stato adottato un codice linguistico a parte.
Sul Blog della Pasticceria Santaniello si legge: “La Coviglia è un classico contemporaneo. Già ai tempi di Matilde Serao se ne esaltavano le caratteristiche ed il gusto inconfondibile. La Pasticceria Santaniello la realizza da circa 100 anni”, praticamente dagli albori. Probabilmente il capostipite, don Giovanni, imparò a farlo durante il periodo in cui frequentò a Napoli la scuola fondata dal grande maestro Luigi Caflisch. “Si tratta – è scritto ancora – del più antico e classico dei dolci semifreddi: un bicchiere di cioccolato fondente farcito con cremoso di zabaione al Marsala, soffice pan di spagna, meringa all’italiana e panna montata, guarnito con amarena sciroppata. Emblema della continuità tra innovazione e tradizione, della fusione di orizzonti che contraddistingue la pasticceria Santaniello. Icona di stile e di gusto, la coviglia è un dolce di cui anche Matilde Serao nel suo libro ‘Il paese della cuccagna‘ ha raccontato. Raffinata e vellutata, attuale nella forma e nel gusto, moderna e minimalista ma antica nell’essenza; collegamento sinestetico tra passato, presente e futuro”.
Fin qui la teoria e la storia. Parlarvi dell’assaggio non è ugualmente facile.
Si materializza in noi una sorta di soggezione quando Valentino ci porge le coppette, spiegandoci che per realizzare il bicchiere di cioccolato fondente, buonissimo, “utilizziamo la forma originaria che usava nonno Giovanni derivata da un bicchierino liberty in argento”. Soggezione che scompare poco alla volta affondando il cucchiaino nei vari strati che lo compongono. E’ al terzo affondo, in genere, che si completa l’assaggio, quando cioè si riesce a toccare con la punta del cucchiaino il fondo della coppetta e la parte di dolce che è stata sottratta disvela gli strati sovrapposti, sistemati ordinatamente. La prima cosa che si nota è che la bocca resta pulita, non si avverte, cioè, la fastidiosa sensazione di grasso sul palato caratteristica di molti semifreddi e dolci al cucchiaio. Ciò consente anche di apprezzare appieno la composizione dei sapori di ogni strato. Subito dopo si avverte la delicatezza. Ogni singola nota emerge nitidamente. Scorrendo la brochure della storica pasticceria, alla voce “Coviglia”, si legge: “Il più antico e classico dei dolci semifreddi: bicchiere di cioccolato fondente farcito con cremoso di zabaione al Marsala, soffice pan di spagna, meringa all’italiana e panna montata, guarnito con amarena sciroppata. Da oggi anche nelle versioni al caffè, frutti di bosco e cioccolato bianco, fragola e cioccolato alla fragola”. Noi abbiamo degustato la Coviglia classica e quella ai frutti di bosco e cioccolato bianco ed è stato immediatamente chiaro che:
- la qualità degli ingredienti gioca un ruolo importante nella preparazione di questo dessert;
- le fasi di lavorazione vengono attentamente monitorate;
- pochi minuti di attesa restituiscono una sofficità fantastica ma il semifreddo risulta ugualmente buono e delicato anche all’assaggio immediatamente dopo averlo preso dal frigo (prova effettuata);
- la Coviglia di Santaniello può stare bene, allo stesso modo, a fine pasto o durante la giornata come dolce spuntino, da sola o accompagnata da un passito di qualità. Noi, volendo esagerare, ci abbineremmo anche un pasticcino di Pasta di Mandorle della stessa pasticceria Santaniello: volute e ghirigori barocchi di un’arte pasticciera che dura da cento anni.
Copiamo la bella idea di Valentino Santaniello che ha voluto riportare sulle pagine web della Pasticceria un brano sulla Coviglia di Matilde Serao tratto da Il Paese della Cuccagna: “Spumoni, metà crema e metà gelato, di tutte le mescolanze, crema e cioccolatte, mandarino e poncio, crema e pistacchio, crema e fragola, lattemiele e fragola, agli spumoni, adorazione delle donne e dei ragazzi, succedevano le gramolate di pesca, le gramolate di amarena, le granite di limone e di caffè, contenute in certi bicchieri di porcellana lattea, trasparente, che stavano fra la tazza e il bicchiere. Per dieci minuti non si udì che un tintinnare di piattini, di cucchiarini, di bicchieri: ma le entusiaste erano le signore che vedevano apparire gli spumoni, dai colori seducenti nella loro tenerezza, dal candido fiocco di spuma nel mezzo, e davano un gridolino di commozione e tendevano le mani, involontariamente”. (madime)