“… mi recavo al Caffè al Bicerin, vicino alla Consolata, a prendere quel bicchiere con protezione e manico di metallo, odoroso di latte, cacao, caffè e altri aromi. Non sapevo ancora che del bicerin avrebbe scritto persino Alexandre Dumas, uno dei miei eroi, qualche anno dopo, ma nel corso di non più di due o tre scorribande in quel luogo magico avevo appreso tutto su quel nettare, che derivava dalla bavareisa anche se, mentre nella bavareisa latte caffè e cioccolata sono mescolati, nel bicerin restano separati in tre strati (tenuti caldi), così che si può ordinare un bicerin pur e fiur, fatto di caffè e latte, pur e barba, caffè e cioccolata e ‘n poc’ d tut, e cioè un po’ di tutto”.
Umberto Eco, Il Cimitero di Praga. Bompiani 2010.
di Marzio Di Mezza
Avevo riletto Il Cimitero di Praga durante l’inverno scorso. E avevo, tra le varie sottolineature a matita che solitamente pratico ai miei libri, segnato la pagina in cui Eco attraverso il protagonista Simone Simonini, parla del bicerin. Senza immaginare che in quei luoghi ci sarei materialmente arrivato a distanza di qualche mese. L’occasione si presenta grazie al lungo ponte del 25 aprile e a un viaggio di famiglia. Il Caffè Il Bicerin è tra i luoghi da visitare appuntati sulla mappa. E oggi consiglio a tutti e vivamente una sosta in questo locale.
Il bicerin
Bicerin significa bicchierino in piemontese. Premetto che ordinare e gustare un bicerin è qualcosa di completamente diverso dal consumare il caffè come abitualmente facciamo. Qui si tratta di partecipare a un rito che esige pazienza. Può essere necessario fare la fila anche per ordinare, poi la preparazione ha dei tempi che non sono quelli di un normale caffè. Ma, come dice Lessing? “L’attesa del piacere è essa stessa un piacere”.
Quando arrivano i bicchieri al tavolo ci viene raccomandato di non affondare il cucchiaino per non mischiare le parti della bevanda e di berla lentamente in modo da apprezzare completamente il lavoro eseguito dai tre composti quando arrivano alla nostra bocca. Si, perché fanno tutto loro i tre strati sovrapposti con le loro diverse consistenze e temperature: inclinando il bicchiere, la cioccolata dal sapore dolceamaro, che è in fondo e che è calda spinge sullo strato superiore costituito da una specie di sciroppo di caffè (con una temperatura più bassa e appena zuccherato) e insieme superano le due dita di schiuma di latte freddo che è in sommità mescolandosi a esso prima di raggiungere la bocca. La sensazione è gradevolissima, a piccoli sorsi prosegue l’assaggio tentando di non far variare mai la stratificazione, almeno fino a quando le quantità dei tre liquidi lo consentono. Così si consuma il rituale del bicerin, che si arricchisce di un’ulteriore magia se avviene all’interno del locale, nello strettissimo spazio semibuio dove sono passati personaggi come Alexandre Dumas, Friedrich Nietzsche, Italo Calvino e tanti altri.
Quando fu creato, il prezzo del bicerin “non doveva essere eccessivo visto che anche le classi meno agiate potevano permetterselo di tanto in tanto – raccontano in città -. Il prezzo di tre soldi, cioè 15 centesimi di lira, venne mantenuto dalla metà dell’Ottocento fino al 5 dicembre del 1913, quando passò a 20. In un certo senso – viene spiegato – il Bicerin è stato il primo locale pubblico davvero democratico”. Oggi un bicerin costa 6 euro.
La storia
Nel 2001 il bicerin è stato riconosciuto come “bevanda tradizionale piemontese” con pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte.
Sul sito del locale (il Caffè Al Bicerin fa parte dell’Associazione dei Locali Storici d’Italia, Sono ben 177 quelli con più di 70 anni che conservano l’allestimento originale) si legge che “Ha visto la luce nel 1763, questo piccolissimo caffè. È in quell’anno, infatti, che l’acquacedratario Dentis apre la sua piccola bottega proprio di fronte all’ingresso del Santuario della Consolata. Il locale è scuro e arredato semplicemente con tavole e panche di legno. Possiamo cercare di immaginare il signor Dentis mentre serve – insieme a cedrata, limonata e altre bibite – prodotti arrivati da lontano, evocativi e misteriosi: caffè, tè, cioccolata… parole strane, sapori nuovi, odori sorprendenti. Il successo del locale fu dovuto a molti fattori, uno dei quali fu l’invenzione di una gustosa evoluzione della bavareisa, una bevanda allora di gran moda e che veniva servita in grossi bicchieri: era fatta di caffè, cioccolato, latte e sciroppo”.
Lungo l’elenco dei personaggi illustri che hanno amato questo locale e il bicerin: dal Conte di Cavour a Francesco Crispi e Edmondo De Amicis. E ancora Silvio Pellico, Giacomo Puccini, Friedrich Nietzsche, Macario poi Guido Gozzano, Italo Calvino e Mario Soldati. Alexandre Dumas padre, in una lettera parla del bicerin come di una delle cose da non perdere di Torino mentre Ernest Hemingway lo inserì fra le cento cose del mondo che avrebbe salvato e Umberto Eco (come già detto) ne parla nel Il cimitero di Praga.
La ricetta
Si tratta di un segreto, tramandato nei secoli e custodito per molti anni anche da Maritè Costa (scomparsa due anni fa, la figlia Eleonora e lo storico staff portano avanti la tradizione) che gestiva il locale dal 1983.
Gli ingredienti in realtà sono semplici, ma segrete sono le dosi: cioccolato fatto in casa, caffè e fior di latte. Il risultato, come ho potuto constatare, è sublime, combinandosi il bollente della cioccolata con il marcato sapore del caffè e la delicata schiuma raffreddata del fior di latte, tre diversi sapori con tre differenti consistenze e temperature.
In un’altra pagina del libro di Eco (riportato sotto) viene spiegato anche il motivo dell’iniziale successo della bevanda, legato alla vicinanza della Chiesa della Consolata. Naturalmente, negli anni, la bevanda, piano piano si diffonde anche negli altri locali della città, diventandone uno dei simboli. Ma è al Bicerin che bisogna assaggiare il bicerin, almeno la prima volta.
“La beatitudine di quell’ambiente dalla cornice esterna in ferro, i pannelli pubblicitari ai lati, le colonnine e i capitelli in ghisa, le boiseries interne in legno decorate da specchi e i tavolini di marmo, il bancone dietro al quale spuntavano i vasi, dal profumo di mandorla, di quaranta tipi diversi di confetti… Mi piaceva pormi in osservazione in particolare la domenica, perché la bevanda era il nettare di chi, avendo digiunato per prepararsi alla comunione, cercava conforto uscendo dalla Consolata – e il bicerin era ricercato in tempo di digiuno quaresimale perché la cioccolata calda non era considerata cibo. Ipocriti”.
Umberto Eco, “Il Cimitero di Praga”. Bompiani 2010