di Marzio Di Mezza
“Il caffè è un amico, un amico che ti tiene sveglio, fa sta’ più allegri e qualche volta evita i dispiaceri”, diceva Michele Abbagnano, il personaggio interpretato da un grande Nino Manfredi in quel capolavoro di Nanni Loy che è stato Café Express.
Ma deve essere buono, il caffè. Negli ultimi anni, complice anche la quantità di spazio offerta dalla Rete, si è sviluppata una ricca letteratura su chicchi, tostatura, miscele, aroma, macchine. Siamo diventati tutti un po’ più esperti di caffè o, quantomeno, più consapevoli di ciò che beviamo quando portiamo la tazzina alla bocca.
Non è di questo, però, che scriverò in questo post, bensì della mia esperienza con il caffè a Torino. Premesso che, da napoletano “malato” di caffè, riconosco di avere un preconcetto, che non tento nemmeno di nascondere, anzi, lo sbandiero. Sia chiaro: nemmeno a Napoli (secondo me) tutti i caffè sono buoni. Vi sono bar che portano avanti una tradizione antica con il rispetto che questa bevanda merita e altri ai quali dovrebbero togliere la macchina da caffè per evitare di continuare a fare danni. Spesso, nel secondo caso, si tratta di macchine automatiche, quelle con il pulsante.
Fatta la premessa, è comprensibile che, quando giro, viaggio, mi sposto in altre località, consumi caffè con più attenzione e parsimonia. Lo faccio anche quando non mi trovo a casa mia, in verità. Di solito, alla domanda “le offro un caffè?” che mi viene cortesemente rivolta, rispondo altrettanto cortesemente ma con un’altra domanda: “dipende, lei me lo consiglia?”.
Evito assolutamente di consumarne negli autogrill; mi tengo lontano da alcune marche, una in particolare mi procura crampi allo stomaco; quando entro in un bar, se non trovo la macchina con il braccio, esco immediatamente senza ordinare. Talvolta mi fido degli odori che annuso entrando nel locale. In generale osservo tutti i movimenti del barista, non ci vuole molto a capire se il caffè è arte sua o no.
“Nessuno potrebbe mai prepararmi un caffè come me lo preparo io, con lo stesso zelo… con la stessa cura… Capirete che, dovendo servire me stesso, seguo le vere esperienze e non trascuro niente…”. Eduardo De Filippo, Questi fantasmi, 1954
E’ chiaro il mio rapporto con il caffè? Ecco perché quando ho afferrato la tazzina dal bancone del Caffè La Fenice di Chivasso, ho tentennato per qualche secondo. Cremoso quanto basta, il caffè si è fatto subito notare per il profumo, intenso con note speziate precisamente percettibili, giusta tostatura e macinato fresco. Ancora meglio l’assaggio, con la corretta acidità, note persistenti e delicate al tempo stesso. Insomma un signor caffè! Costato “appena” 1 euro.
E questo è stato il mio primo contatto con il caffè piemontese e con i Caffè piemontesi. Non che tutto sia filato liscio, da questo punto di vista, per i giorni a seguire ma se non altro ho continuato a degustare tenendo un po’ più bassa l’asticella del preconcetto. E nella capitale sabauda, poi, ho conosciuto alcuni famosi e storici locali da caffè, imparando che qui è stato privilegiato il rapporto con i luoghi più che con la bevanda. Lo stesso Carlo Alberto di Savoia, si racconta che al mattino chiedesse ai propri consiglieri: “Che si dice stamattina nei Caffè?”, perché erano ritenuti un po’ il termometro politico in questa parte della penisola. Luoghi oggi ricchi di storia e che hanno fatto storia. Mirabile l’impegno che i tornesi hanno messo nel conservare quanto più possibile gli arredi e finanche le insegne di questi piccoli musei. Come il Bicerin, per esempio, frequentatissimo da Dumas, ma non solo. Cavour era solito recarsi al Caffè Fiorio, Massimo D’Azeglio, Giolitti ed Einaudi preferivano Baratti&Milano; per De Gasperi la tappa era al Caffè Torino. Guido Gozzano frequentava le sale Art Nouveau di Mulassano; al Platti ci si imbatteva in Cesare Pavese.
Nella città in cui è nata la prima macchina da caffè espresso, (“brevettata dall’imprenditore torinese Angelo Moriondo che la presentò al pubblico in occasione dell’Expo Generale di Torino del 1884”), ho avuto esperienze a base di caffeina molto positive. Come al Fiorio, al Bicerin, al Torino. Anche qualcuna molto negativa. In un bar non molto distante dalla Gran Madre sono stato tentato di chiedere al barista se avesse avuto il coraggio di far bere a un suo caro il contenuto della tazzina che mi aveva portato.
Posso dire che, sulla base delle tazzine che ho assaggiato, Torino, per me, supera di gran lunga città come Roma, Firenze e Bologna in quanto a qualità e cultura del caffè.
“Ben al di là di tutti gli altri piaceri, più raro di gioielli o tesori, / più dolce del chicco della vite. Sì! Sì! Il più grande / dei piaceri! Caffè, caffè, quanto amo il suo gusto, / e se volete guadagnarvi la mia benevolenza, sì sì / datemi il caffè, datemi il mio caffè”. Johann Sebastian Bach, Cantata del caffè, 1732/34