di Ilaria Galietti
Vale sempre la pena farsi un giro in Val d’Aosta, ogni borgo o cittadina nelle sue diverse vallate rimanda l’anima e il corpo a un’italiana bellezza così incantevole e forte da far dimenticare le italiote magagne quotidiane.
A Fénis, a soli 541 metri s.l.m., hai già la sensazione di trovarti in una dimensione senza limiti spazio-temporali, dove a proteggerti sono le mura e le torri del famoso Castello, eretto dalla famiglia degli Challant nel XIII secolo. Ti senti inserito nel raffinato mondo cortese del Gotico internazionale grazie alla compagnia delle dame, dei cavalieri, dei santi guerrieri affrescati sulle pareti delle sale e del cortile interno. Vedi i i costumi tradizionali dell’epoca medievale grazie ai cordiali figuranti del Groupe historique de Fénis.
E infine per rifocillarti ti fermi ai piedi del Castello, per immergerti con piacere nei piatti semplici ma gustosi del bar ristorante “La Chatelaine”.
Qui, a parte la mia ormai cronica rassegnazione nel veder proposta una “pizza” che-pizza-non-è (e me ne tengo alla larga, al pari di tantissimi altri locali nordici), mi aspetto e trovo alcuni piatti trazionali e affidabili di questa cucina regionale, accompagnati da robuste e gustose birre artigianali. Zuppe di legumi, polente varie, tagli diversi di ottima carne locale, affettati, formaggi, dolci al cucchiaio… È possibile farsi un’idea della territorialità gastronomica del posto già soltanto con un tagliere misto, capace di farti immaginare a ogni boccone i pascoli, gli allevamenti, i bovini, i suini, i contadini e tutta la catena di produzione artigianale sottesa a queste bontà (nello specifico la mocetta, la coppa, il lardo di Bosses, il boudin e la cosidetta rosa d’Aosta).
Ma immancabile deve essere un posto da riservare al Vallée d’Aoste Jambon de Bosses, il principe dei salumi valdostani. Lo producono in quantità limitata nella piccola comunità di Saint-Rhémy-en-Bosses, situata a 1600 metri s.l.m. nella valle del Grand San Bernardo. Se è vero che di qui son passati reali, condottieri, chierici e pellegrini, scommetto che molti di questi hanno avuto modo di gustare questo gioiello della salumeria regionale.
Non più di 3000 cosce di suino all’anno che, grazie alla combinazione esplosiva di un ambiente unico, di carni attentamente selezionate e di una rigorosa, paziente e quasi immutata tecnica di produzione artigianale secolare, si trasformano in una prelibatezza culinaria quasi indescrivibile a parole.
Avete presente un bacio dolce e fondente, che parte gentile per poi svelare man mano la sua passionale intensità, catturandovi fino alla fine in un intenso tripudio di sensi? Ecco.
Più o meno così; vi sciogliete a ogni boccone. Lentamente. E a occhi chiusi.
Fa sorridere che tale goduria è stata accompagnata ed esaltata da una birra locale decisamente corposa, la Amy, una oatmeal stout prodotta a Etroubles (sempre nella Valle del Gran San Bernardo), il cui nome si ispira a Amy Winehouse.
E come la sua voce riusciva potente a suscitare emozioni, così questa avvolgente birra, color ebano e dai sentori di avena, riesce piacevolmente a chiudere col suo finale lungo e amaro la mia fuitina a Fénis.
E sia.