di Giusi Benigno
Sicilia bedda, terra di ‘ncantu, d’amuri e di sintimentu, isula di lu Mediterraniu terra di sapuri e prufumi, di foco e di mari, ricca di storia, vasata di lu suli, tutta da scupriri, anchi da parti di l’arti di la cucina.
La Sicilia è anche terra di violenti contrasti climatici, per buona parte spazzata dai venti (ponente e scirocco) e bruciata dal sole “africano”, e nello stesso tempo più alto d’Europa, per diversi periodi dell’anno solare coperto di neve. E proprio la neve, quasi perenne dell’Etna, ha consentito già da alcuni secoli, che in Sicilia nascessero: prima il sorbetto, poi la granita e infine il gelato utilizzando la neve, presa ad alta quota e conservata con la paglia nei pozzi profondi o in grotte naturali, sin quasi alla fine dell’estate. Ormai è cosa conosciuta in tutto il mondo, l’abitudine di noi siciliani di fare la prima colazione a base di granita di limone e biscotti all’ anice, o di granita di caffè e panna con brioche.
Per quanto riguarda “l’arte culinaria”, che attraverso i secoli e a contatto con diverse civiltà si è sempre arricchita sino ad arrivare all’ altissima specializzazione odierna, bisogna dare il merito sin dall’ antichità ad alcuni scrittori Greci, Romani, Siculi, Sicani che con i loro scritti, hanno tramandato notizie fondamentali sulla cucina siciliana dell’epoca.
In Sicilia, alla cucina “ricca di cibo pregiato” e fastosa, si contrappone quella “povera all’ apparenza” ma ricca di sapori delle classi meno abbienti, i cui piatti principali erano il pane, la pasta, le verdure, la carne meno pregiata, (trippa, milza, interiora ecc…). Il popolo, pur nella sua povertà, ha saputo trasformare nei secoli quei piatti che poi sono stati accettati e richiesti da tutti come per esempio: “u pani ‘cà mèusa”, o anche il “farsumagru” detto anche “rollò” dal francese “roullè”, com’ era chiamato prima dei Vespri Siciliani. Anche il modo di cucinare i cibi ha dato luogo a preparazioni che dettate inizialmente dalla necessità e dalla povertà hanno poi dato luogo a modi particolari di “cottura” che da semplici si sono trasformati in ricercati per il particolare gusto che ne scaturiva. Mentre nelle grandi cucine dei palazzi signorili tutti gli ingredienti si cucinavano col metodo classico, i contadini, i marinai, adoperavano la cenere, il sale, la sabbia, la balata di zolfo ecc.
I Siciliani sono stati comunque maestri nel trasformare la povertà degli alimenti in ricchezza di sapori e magnificenza di odori. È inoltre da tener presente, che quelle pietanze che, oggi si trovano nei ristoranti e che sono contrabbandate come antipasti (nel significato moderno) non fanno parte della cucina tradizionale. Difatti i pomodori secchi, le olive verdi o condite, le frittate, le melanzane, le zucchine, i polpi bolliti, le zuppe di lumache con le patate, il pane raffermo messo in un piatto con un po’ di brodo caldo (dal dialetto mazarese: pani cottu), <solo per citarne alcuni> erano il companatico e spesso assieme ad un po’ di pane costituivano un piatto unico e forse, in casi estremi, il solo dell’intera giornata.
“Quando, si parla di cucina siciliana, ci si riferisce a un’arte culinaria, talmente ricca di sapori e colori, antica quasi come il tempo, retaggio goloso di influenze greche, arabe, ebree, normanne, mediterranee e nordafricane che diventa quasi difficile ricondurla a un unico genus gastronomico”.
La Trinacria terra di coloni e di conquista ha saputo raccogliere e unificare in preziose ricette le idee e i nuovi ingredienti giunti sul suo territorio (nei secoli trascorsi e l’avvicendarsi di molte civiltà e dominazioni, fase iniziata con i fenici, che non furono conquistatori, bensì commercianti, che nel porto-canale del fiume Màzaro trovarono un valido approdo per le loro navi e un posto tranquillo dove cominciare il loro commercio). Nel trascorrere dei secoli, popoli ne sono passati tanti e l’avvicendarsi di queste dominazioni ha reso ogni zona della Sicilia unica e caratterizzata da specialità gastronomiche peculiari che creano a oggi una delle basi più solide della cucina mediterranea. In una descrizione stringata come quella che posso inserire in questa pagina cercherò d’identificare a grandi linee le antiche influenze, segno del mutare delle popolazioni dominanti, legate ai maggiori cambiamenti sociali e ancora ben identificabili. Dopo questa che potremmo definire quasi una fase di stasi, con lo sbarco degli Arabi a Mazara del Vallo, avvenuta presso le coste di Capo Feto, si avverte una vera e propria rivoluzione nel già esteso ventaglio della gastronomia isolana. Zucchero di canna, alambicco, riso, rafforzamento della coltura dello zafferano già conosciuto in età romana ma quasi scomparso dopo le invasioni barbariche, gelsomino d’Arabia, aranci e limoni sono alcune delle novità introdotte. Di qui è tutto un fiorire di ricette dolci e salate che oggi ritroviamo in veste di arancini, timballi di riso, sfinci dolci ripieni di ricotta o senza, ben lavorata e dolcificata, ingrediente fondamentale per la nascita della cassata e dei cannoli.
Considerata, già di per sé, una delle tante attrazioni da scoprire sull’ isola, useremmo un linguaggio improprio parlando di cucina siciliana al singolare. A ben vedere, infatti, dovremmo utilizzare il termine al plurale, giacché, spostandosi dalla parte orientale a quella occidentale, vagando di provincia in provincia, troviamo tanti tipi di pietanze pressoché introvabili in altri luoghi dell’isola stessa.
Per esempio sarà difficile trovare le classiche panelle – frittelle di farina di ceci – in un luogo diverso da Palermo, e tantomeno i muccunetti delle suore di clausura di Mazara del Vallo – palline di pasta di mandorle ripiene di conserva di zucca.
Siamo nella terra del gusto e dei buongustai, in un angolo di paradiso dove limoni, arance, cannoli, cassate, caponate, pomodoro secchi, olive verdi e nere (passuluna), cous cous, sarde a beccafico, – solo per citare alcuni dei più famosi piatti tipici siciliani – la fanno da padrone.
In Sicilia, ancora oggi, senza pane non ci si siede a tavola. Un vecchio proverbio siciliano recita: “…tinta dda casa unni ‘un trasi pani…” e ancora oggi alcuni anziani raccontano che in alcune famiglie poverissime e numerose un pasto era costituito da una fetta di pane da prendere l’odore e un po’ di sapore illudendosi così di mangiare pane con la sarda come companatico. Il nostro viaggio culinario, dal sapore antico e gustoso, con un occhio gettato al passato e uno proteso al futuro, va alla scoperta della prelibata cucina di questa regione, conosciuta, apprezzata e amata in ogni angolo di mondo.
Abbondanti e dal sapore inconfondibile, profumati e arricchiti dai colori vivaci delle verdure e delle salse, la Sicilia, tra i suoi principali primi piatti, e tante prelibatezze quali:
– Pasta con le sarde: Piatto semplice ma ricco di sapore, esclusivamente a base di sarde con acciughe, rosolate per bene e utilizzate per condire maccheroni o bucatini; (sarde, pinoli, uva passa sultanina, finocchietto e uno spicchio d’aglio)
– Arancini di riso: Sono considerati dai siciliani una delle specialità più caratteristiche e tradizionali della cucina regionale. Il nome da intendersi è “arancine”, perché deriva dall’ accostamento con le arance, simbolo siciliano per eccellenza. Nella zona occidentale della Sicilia questo tipico prodotto è chiamato “arancina”, mentre nella zona orientale è conosciuto come “arancino”. Nel primo caso siamo alla presenza di un nome femminile derivante dalla forma rotonda dell’arancia, frutto tra i più rappresentativi siciliani; nel secondo caso il nome è maschile, l’arancino ha la forma di un cono e qualcuno sostiene che vuole simboleggiare il vulcano Etna. Diversi autori, analizzando gli ingredienti dell’arancino, hanno fatto delle supposizioni: per esempio, l’utilizzo dello zafferano potrebbe provare che le origini possano riferirsi al tempo della dominazione degli Arabi in Sicilia (all’incirca nell’anno 827 ed il 1070 anno della cacciata da parte dei normanni), che importarono l’usanza di mangiare riso allo zafferano preparato nel palmo della mano, con condimento di carne e verdure. Nella Sicilia stessa, dove gli arancini sono nati, la loro preparazione lascia spazio alla creatività gastronomica di cuochi e massaie, e inoltre in ogni città e paese si utilizzano gli ingredienti tradizionali del luogo. Ed ecco che gli arancini possono avere forme e grandezze diverse, e il loro ripieno può essere arricchito o costituito da piselli e provola, prosciutto cotto e besciamella, prosciutto e mozzarella, e poi con burro e spinaci, sarde e finocchietto, alla salsiccia, alle melanzane, ai funghi, al salmone, ai frutti di mare, e quant’altro.