di Giusi Benigno
Noi siciliani oltre che per nutrirci, mangiamo perché “godiamo” anche mentre mangiamo…
La cultura del “piacere a tavola”, il modo di porsi nei confronti della stessa quotidianità risale ai tempi dell’antica Roma, e tramandato sino ai nostri giorni arricchendosi man mano che passano i secoli. Importante è anche in quest’ambiente la convinzione, ormai radicata nell’ animo dei siciliani, che alcune nostre pietanze sono afrodisiache e che “la tavula è fimmina”; del resto è pur vero, che alcuni piatti sono presentati dando il privilegio al genere femminile: arancine, granita, ecc. i siciliani sono altresì maestri nel trasformare la povertà degli alimenti in ricchezza di sapori e magnificenza di odori. Del resto le pietanze non sono solo cibo, ma sono, per chi li sa interpretare e gustare, uno scrigno della memoria; un cassettone con mille cassettini dentro ognuno dei quali vi è un ricordo di gioventù, e che, assaggiando un determinato cibo, si aprono volta per volta sprigionando un effluvio di sapori e ricordi. Alla luce della simbiosi tra il siciliano e la sua cucina bisognerebbe ritornare alle vecchie tradizioni, rivalutando la cucina intesa questa volta non solo come arte per la preparazione dei cibi ma anche come spazio della casa dove trascorrere più tempo insieme a cucinare con amore e senza fretta, dove restare a chiacchierare anche di cose futili e con i suoi valori umani e sociali.
I dolci siciliani sono qualcosa di meraviglioso…basta pensare ai cannoli (di derivazione araba, consistenti in cialde fritte, ripiene di ricotta e zucchero, guarnite da ciliegie candite, pistacchi di Bronte, gocce di cioccolato fondente, cannella in polvere e zucchero a velo), al biancomangiare (citato anche da Tomasi di Lampedusa nè “Il Gattopardo”: dolce a cucchiaio tipico di Palermo, a base di latte di mandorla, vaniglia, mandorle o pistacchi tritati; a Mazara del Vallo si faceva con il latte di mucca e amido per dolci, arricchito da pezzetti di cioccolato o con un pavimento di biscotti), la cuccìa (dolce dedicato a Santa Lucia, che si prepara con grano tenero, ricotta di pecora, zucchero, gocce di cioccolato fondente, arancia candita, e cannella), la cassata (il più conosciuto al mondo dei dolci tipici siciliani, consistente per chi non lo sapesse, in un pan di Spagna ripieno di ricotta, zucchero, canditi, cioccolato fondente, ricoperto da pasta al pistacchio e guarnito da zucchero fondente o ricotta e canditi).
La cubbajta è un dolce croccante fatto di miele, zucchero, mandorle intere e, soprattutto, sesamo che viene sagomato a forma di rombo o rettangolo come la petrafennula. Il suo nome deriva da un termine arabo che significa “mandorlato” e nel dialetto siciliano è usato spesso anche come sinonimo di torrone. Nella Sicilia orientale la cubbajta detta anche giuggiulèna, termine siciliano anch’esso di origine araba che sta a indicare proprio i semi di sesamo, si consuma nel periodo natalizio… Per via della sua elevata durezza è d’obbligo lasciarla sciogliere pazientemente in bocca.
Come dimenticare il gelataio che durante la stagione estiva “Don Saru” di Mazara del Vallo, si aggirava per le vie della città, specialmente in periferia, sul suo triciclo “adattato” con due pozzetti refrigerati pieni di gelato (in uno dei due vi era sempre la granita al limone) e suonando un campanellino attirava tutti i ragazzi che lo aspettavano con ansia e forse l’acquolina in bocca. Vi erano i coni da 5 lire (il più economico che esistesse), il cono da 10 lire, le charlotte a un piano 10 lire e quelle a due piani 20 lire. Sempre “Don Saru”, nel periodo invernale faceva i bomboloni dolcetti a base di zucchero incartati e le caramelle carruba e li vendeva davanti alle scuole elementari in piazza S. Veneranda.
La granita al limone sicula non ha e non teme rivali. Il segreto non risiede soltanto nei suoi ingredienti, nei limoni figli della terra dal Sud o nelle brioche tipicamente siciliane che ne completano il gusto; ma anche in tutto ciò che gli fa da cornice: l’orizzonte, le Eolie, i Nebrodi, il clima, la passione della gente e la sua storia. La granita possiede una sua storia. Spesso dimentichiamo che le cose che diamo per ovvie e scontate si generano sempre da un determinato inizio tramandato nel tempo, che ha concesso loro di divenire consuetudine e tradizione.
In molti non sanno che l’origine della granita è da attribuire al territorio Messinese al tempo della dominazione araba. Gli arabi portarono con sé la ricetta dello sherbet, bevanda ghiacciata aromatizzata con succhi di frutta o acque di rose. Sebbene sia un prodotto particolarmente imitato, sentiamoci in dovere di manifestare l’esclusiva della “Terra del Sud”; poter mangiare una tipica granita siciliana fatta con limoni di Sicilia, accompagnata dalla sua brioche (panino morbido) che è solo siciliana, mentre si osserva all’orizzonte il Tirreno confondersi con il colore del cielo diventando una magia di colori, odori e sapori che solo la Sicilia può offrire…
La Frutta Martorana è dolce tipico della festa del 2 novembre a forma prevalentemente di frutta, con colori bellissimi e con forme che somigliano in modo impressionante alla realtà; si realizzato con la pasta reale, fatta con farina di mandorle (prodotto tipico della Sicilia) e zucchero, che si lavora a mano, messa in appositi stampini e poi colorata. La frutta di martorana, spesso si confezionata in splendidi cesti assieme ai biscotti tipici dei morti, frutta reale di stagione (castagne, melograni, noci, ecc.). La festa dei morti era ed è sempre stata un modo per sentire più vicini i nostri cari defunti. Questo è un giorno di festa e non un giorno di lutto, e soprattutto è la festa dei bambini…per coinvolgerli veniva regalato loro un cesto con dei dolci, tra i quali appunto la nostra frutta di martorana.
Tra i dolci che arricchiscono le tavole dei bambini siciliani, troviamo anche i “Pupi di zucchero” o, in siciliano pupaccena, pupi di zuccaro. Si tratta di statuette di zucchero colorato, riproducenti paladini, o generiche figure maschili e femminili (produzione di questo manufatto di cui vanno fieri i dolcieri palermitani); lo zucchero fu introdotto in Sicilia dagli arabi, che ricavavano da una speciale canna chiamata “cannam mellis”, cannameli. ‘A pupaccena nasce dall’inventiva di un cuoco siciliano, Sansovino, al quale nel 1574, per onorare la visita di Enrico III, figlio di Caterina dei medici, gli fu richiesto un dolce particolare: egli creò tramite i suoi apprendisti delle sculture di zucchero che ebbero subito il favore e lo stupore degli intervenuti.